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Il linguaggio dei genitori alla base del futuro cognitivo del bambino che li ascoltava.

NEO-N NEONATI A RISCHIO
Pubblicato da Esterno in Curiosità e articoli · 10 Gennaio 2015
Il cervello nasce, ma poi si forma. La sfida è tutta racchiusa nel «dopo». Troppi lo dimenticano e allora l’iniziativa lanciata negli Usa dallo Stato della Georgia e chiamata «Talk with me baby» vuole rimediare. A genitori, medici e infermieri viene insegnato che un neonato - e poi un bambino - non ha solo bisogno di attenzioni, cure e cibo. Oltre al nutrimento classico, ha bisogno di «nutrimento linguistico».

I neuroscienziati della Emory University’s School of Medicine e i ricercatori del Nell Hodgson Woodruff School of Nursing si sono mobilitati per riempire un «gap»sempre più grave. Arrivato all’età decisiva di tre anni, il pargolo di una famiglia affluente ha ascoltato in media 30 milioni di parole più di quelle assorbite dal coetaneo di una famiglia povera. Una differenza crudele, che in molti casi si rivela decisiva per il futuro, scolastico e lavorativo. Chi ha sofferto la «fame da linguaggio» è destinato a un’esistenza più difficile.

Il motivo è contenuto nelle scoperte a ritmo incalzante delle neuroscienze: più precoce e più intensa è l’esposizione all’universo dei vocaboli e delle loro combinazioni e maggiore è lo sviluppo cognitivo. Tutto è coinvolto: dall’attenzione alla memoria , compresa l’evoluzione emotiva. I bambini che hanno la fortuna dicrescere bilingui, per esempio, hanno perfomance migliori. E lo si vede già al nido, quando li si confronta con i compagni. Ascoltare parole, sforzarsi di costruirle e tentare di assemblare frasi è il carburante che fa accendere i neuroni e li fa scattare per una corsa che non si fermerà. Fino all’ultimo giorno di vita.

Ecco perché gli scienziati hanno ideato una serie di consigli. Semplici e decisivi. Per esempio: è durante i primi 12 mesi che il «nutrimento linguistico» addestra il cervello a riconoscere sfumature e significati ed è quindi fondamentale adottare il «genitorese». Significa parlare lentamente, guidando il proprio figlio all’esplorazione di ciò che osserva. È lui (o lei) a decidere su cosa concentrarsi. In questo caso non contradditelo mai.

Gabriele Beccaria


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